The Vad Vuc ‎– Album Postumo – Breve antologia di ordinarie violenze quotidiane

9.90

Album postumo – Breve antologia di ordinarie violenze quotidiane, con una bara – metronomo come copertina del libretto, nasce dopo un periodo particolarmente difficile, per qualche membro del gruppo, e, di conseguenza, per tutti gli altri: perché da ormai due decadi i Vad Vuc si caratterizzano per essere una band di amici, legati a doppio filo da molte passioni comuni, come una compagnia qualsiasi.

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Description

Inizia con una citazione nientemeno che di Arthur Schopenhauer, sottolineata dai fiati della Banda Osiris, il nuovo lavoro di The Vad Vuc, il collettivo ticinese che ha dato nuova linfa al folk, fra ballate riflessive e reel scatenati, composto da Michele “Cerno” Carobbio, voce, chitarra, mandolino, Giacomo “Jacky” Ferrari, basso e banjo, bouzouki, contrabbasso, percussioni, Sebastian “Seba” Cereghetti, mandolino, trombone, cucchiai, bombardino, Davide “Boss” Bosshard, susafono e tastiere, Fidel “Fid” Esteves Pinto, flauti e tromba, Fabio “Mago” Martino, fisarmonica, tastiere, percussioni, Roberto “Drugo” Panzeri, batteria, Alberto “Albi” Freddi, violino, Simone “Savo” Savogin, voce e cori.

La voce e l’autore dei testi, Michele Carobbio, alias Cerno, ha visto la morte in faccia, pochi mesi fa, e la sua sensibilità già acutissima, unita a un costante dialogo con tutta la band, lungo i mesi di preparazione, ha ispirato un progetto a metà fra lo scaramantico e il filosofico, fra il poetico e il prosastico, per un disco che gronda quotidianità e linguaggio esplicito, ma sa innalzarsi alto sulle miserie e sulle violenze quotidiane, e invitare a pensare, a cambiare, a impostare l’esistenza su parametri diversi.

La musica irlandese, quella che li ha spinti a mettersi insieme a suonare, nel solco dei Pogues, dei Modena City Ramblers, emerge ancora, in brani come l’autocritica Maltrainsema, o nell’affilata denuncia di Checkpoint Charlie, ispirata alla famosa poesia di Martin Niemöller, con la voce di Giorgio Gaber che attraversa il tempo e lo spazio e continua a dare i brividi, o nella giga irridente e infuocata de Lo scozzese ubriaco, quest’ultima interpretata anche da Davide van de Sfroos, loro primo ispiratore per la scelta dei testi in dialetto. Ma il respiro generale accoglie altre suggestioni, che impongono una profondità di ascolto di maggior spessore, e che testimoniano un cambio di passo compositivo, un’ulteriore tappa nella maturità del gruppo.

Emozionante è la denuncia della violenza domestica in Moglie perfetta, lenta ballata che assume il punto di vista di una moglie, di fronte alle botte del marito mentre i figli sono a scuola. Toccante è il monologo di un disertore contemporaneo in Un can, che rivela tutta la sofferenza umana di un soldato costretto a uccidere, e che si chiede “Che senso ha costruire la distruzione”. Perfino straziante è la voce del Pirata, perdente che mantiene intatte la propria dignità e passione, e che va verso il proprio destino, accompagnato da suoni dimessi ed epici insieme.

Il dialetto non è un ostacolo, sia perché nel ricco libretto si trovano tutte le traduzioni, sia perché il testo della canzone- manifesto Tegnum la man è tutto in italiano, affinché tutti possano, al centro esatto del disco, capire il senso del percorso. Ultima nota positiva, le numerose collaborazioni, da Enrico Ruggeri agli Gnu Quartet, dai già citati van de Sfroos o Banda Osiris agli arrangiatori Davide Billa Brambilla e Taketo Gohara, che ha arrangiato alcuni brani e suonato il synth, nella caustica invettiva Il paese dove tutto va bene.
Laura Bianchi Mescalina

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Weight 0.15 kg